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mercoledì 12 giugno 2013

A scuola con i detenuti di alta sicurezza della Casa di reclusione di Maiano di Spoleto

Disegnavano finestre solo con le sbarre, non riconoscevano i colori, non erano mai entrati in un teatro. Sapevano solo come si teneva in mano una pistola, e come saperla usare nel migliore dei modi. Ma oggi usano pennelli e tempere, creano scenografie, mettono in scena rappresentazioni teatrali. E soprattutto vanno a scuola. Sono i detenuti del circuito di alta sicurezza che si trovano nella casa di reclusione di Maiano di Spoleto, quasi tutti ergastolani che hanno commesso reati di associazione. Devono scontare pene pesanti, molti di loro vivranno per sempre in un carcere e per questo ogni giorno devono dare un senso alla quotidianità. Andare a scuola e frequentare le ore di lezione è uno di questi sensi. All’interno del carcere oltre alla scuola dell’obbligo i detenuti di alta sicurezza posso anche diplomarsi frequentando le lezioni dell’Istituto superiore Pontani Sansi-L.Leonardi di Spoleto, sede associata dell’istituto d’arte del carcere, diretto da Roberta Galassi. Dopo due pomeriggi trascorsi all’interno della casa di reclusione a contatto diretto con i detenuti di alta sicurezza durante le lezioni di scenotecnica, decorazione pittorica e disegno professionale, esce fuori tutta l’importanza di “scendere” dalle celle per andare a scuola.


A scuola con i detenuti
Ci sono le classi, i banchi come a scuola, ma la porta dell’aula è blindata, e ci sono guardie che controllano dalla finestra e scortano gli “studenti” lungo i corridoi. Ci sono gli insegnanti, i registri di classe, i voti, si segnano le assenze (per chi non frequenta), ci sono lezioni teoriche e pratiche. E ci sono i detenuti, uomini di 25 anni accanto ad altri di 75 anni che studiano a mettono in pratica quello che stanno imparando per ideare spettacoli, scenografie e sculture. Sono quasi tutti uomini del sud, e per tradizione anche gentili. In questi giorni stanno preparando ben due spettacoli teatrali: “Le sedie” di Ionesco sotto la direzione dell’insegnante Giuliana Bertuccioli e “Cattività affettive/affettività patetiche” insieme all’insegnante Giorgio Flamini. Hanno le lezioni teoriche in classe, ma anche la parte pratica all’interno di un grande laboratorio dove preparano le scenografie insieme all’insegnante di scenotecnica Maria Paola Buono e di decorazione pittorica Simone Bacci. Anche il laboratorio ha la porta blindata, ma anche finestre sbarrate dove entra molta luce che si mischia con i colori, le tempere, i materiali colorati, i gessi e i pezzi di legno. Dopo aver attraversato lunghi corridoi azzurri e porte blindate blu, questa stanza sembra quasi “normale”. Anche qui c’è una guardia, che conta e registra tutto il materiale e gli strumenti utilizzati che devono essere riconsegnati a fine lezione. Qui si può “respirare”, ma ci sono pur sempre regole molto rigide.


Attori nel carcere
“Quest’anno metteremo in scena il teatro dell’assurdo – spiega Giuliana Bertuccioli – dove si racconta di due persone anziane abbandonate da tutti che delegano un oratore che parla per conto loro, per lanciare un messaggio all’umanità. Sullo sfondo ci sarà un faro, come metafora di salvezza”. Giuliana insegna in carcere da 12 anni: “La difficoltà più grande è parlare di teatro con persone che non lo hanno mai visto, per questo cerco di trasmettergli la passione. Ma è anche difficile essere una insegnante donna, perché bisogna confrontarsi con uomini adulti, e del sud, che non amano molto dare ascolto alle donne. Ma alla fine riusciamo a creare qualcosa di buono, come si vedrà nello spettacolo che andrà in scena il 29 e 30 maggio. Il teatro per i detenuti diventa un ottimo strumento per mettere “in pubblico” le loro inquietudini: spesso i testi sono scritti da loro stessi e quindi diventano uno spaccato della realtà carceraria. Le scene dello spettacolo di Giorgio Flamini che debutterà l’8 giugno raccontano i detenuti, parlano indirettamente delle loro difficoltà, delle loro esigenze. Nella classe si fanno le prove, è anche apparsa una brandina accanto ai banchi. I detenuti parleranno al pubblico (che alla fine sarà composto dagli altri detenuti all’interno del carcere) di sogni “spezzati dalla chiave d’oro” che ogni mattina apre le porte delle loro celle, dell’ora d’aria che crea la differenza tra detenuti “non come la Coca Cola che anche se la beve il ricco e il povero rimane uguale per tutti”. Nei testi si parla molto di mancanza di affettività, dei rari colloqui con i parenti, ma anche della impossibilità di avere rapporti sessuali con mogli o fidanzate all’interno dei carceri, come avviene in alcune case di reclusione europee. In Italia la legge non prevede i “vis a vis intimi”.


Percorsi d’arte
Maria Paola Buono insegna all’interno del carcere da ben 13 anni. “Qui si vive una realtà parallela, questa diversità cerco di non farla sentire ai detenuti. Ci sono molte regole, è difficile anche far entrare da fuori materiali adatti per fare le scenografie, e non tutti sono portati per l’arte. Lo sforzo maggiore è portare avanti classi eterogenee formate da persone di diversa età e provenienza sociale. Bisogna essere sempre concentrati, capire le loro esigenze anche se non sempre ci riusciamo. Da parte mia c’è tanta soddisfazione quando “scendono” per affrontare una giornata di scuola, e riuscire a realizzare lavori dignitosi raggiungendo spesso un gusto estetico. La scuola per loro è un punto di riferimento importante, anche se difficilmente potranno spendere il diploma fuori”. Tra i detenuti c’è anche chi anni fa disegnava solo le finestre con le sbarre e chi non sapeva riconoscere i colori. Sono loro stessi a raccontarlo, ma grazie ad un lungo percorso formativo, ora riescono a lavorare ai tessuti o utilizzare diverse tecniche artistiche. Come avvenne anni fa, quando un grande trafficante si rivelò un bravo scenografo.
“La crescita più che per loro è per me – spiega l’insegnante Simone Bacci – E’ una situazione a cui mi sono abituato, ma è difficile spiegare a chi non è mai stato in un carcere cosa significa. Pensi che ci siano solo mostri, ma invece sono persone, spesso anche molto simpatiche, che stanno facendo un percorso di crescita. Prima sapevano solo usare le pistole, ora invece hanno la possibilità di conoscere anche altro”.


La rieducazione
Il responsabile della scuola e delle collaborazioni all’interno del carcere è l’ispettore capo di polizia penitenziaria Edoardo Cardinali. “Tutte le attività scolastiche – spiega – vengono fatte in base a dei circuiti suddivisi al grado dei reati: c’è il 41 bis, l’alta sicurezza, la media sicurezza, i sex offender (i cosiddetti protetti che hanno commesso reati di violenza carnale) ed ognuno ha uno specifico percorso scolastico. Sono state individuate le scuole più adatte, nel caso dell’alta sicurezza è stato assegnato l’istituto d’arte, per la media sicurezza c’è l’istituto Alberghiero e altri corsi professionali oggi fortemente ridotti alla metà. Ma la rieducazione del detenuto passa anche attraverso questi corsi che ci permettono di capire il percorso che sta facendo e sono molto utili per abbassare le tensioni del detenuto, occupandolo nelle attività. Inoltre la scuola permette di elevarlo culturalmente tanto che attraverso lo studio può riuscire a cambiare atteggiamento verso il personale e verso gli altri detenuti”. Ma le difficoltà, anche da parte degli agenti di polizia penitenziaria ci sono: “Con la direzione ci prodighiamo per coordinare tutto il settore – spiega - ma bisogna fare i conti con la grande mancanza di organico e anche con il forte afflusso dei detenuti con reati minori che rendono più difficoltose tutte le operazioni. Ma noi ci teniamo a mantenere le attività, per noi è fare anche sicurezza”.


La direzione
La Casa di reclusione di Maiano di Spoleto è attualmente diretta da Ernesto Padovani. La funzione della scuola all’interno del carcere viene spiegata dal vice direttore Giacobbe Pantaleo: “L’importanza di coinvolgere il detenuto nelle lezioni scolastiche – spiega - è finalizzata al reinserimento sociale: molti arrivano qui che sono quasi analfabeti. La partecipazione ovviamente è volontaria, noi non li possiamo certo obbligare. Ma i detenuti che hanno frequentato dei corsi di studi hanno anche dei “benefici”, cioè degli attestati di benemerenza che vanno a loro vantaggio. Abbiamo anche avuto esperienza di persone che si sono laureate all’esterno del carcere e questo è molto positivo anche per loro, perché crea un clima positivo all’interno del carcere, una competizione positiva”. Uscire fuori per sostenere la laurea è infatti possibile grazie a dei permessi “per gravi motivi” rilasciati dal tribunale di sorveglianza non solo per casi negativi come lutti, ma anche per sostenere la laurea oppure il matrimonio o la nascita di un figlio. Al momento gli studenti detenuti che frequentano la scuola dell’obbligo, l’istituto d’arte e l’alberghiero sono circa 100 su un totale di 642 reclusi. I detenuti del 41 bis sono ovviamente esclusi dalle lezioni in classe, ma possono comunque studiare da soli in cella. Per ogni detenuto in regime di 41 bis, alta sicurezza, media sicurezza o protetti, esistono specifiche limitazioni stabilite dalla legge. Anche per quanto riguarda la scuola.